I frutti della preghiera
Che relazione c’è tra preghiera e salute? L’uomo scopre nell’amare e nell’essere amato dal Padre una gratificazione e una speranza che lo spinge a sua volta ad amare.
La preghiera fa bene
di Pina Tufo
( articolo estratto dalla Rivista del RnS del numero di dicembre 2016)
Che la preghiera faccia bene è noto a tutti, basti pensare al tripudio e alla gioia con cui si concludono le nostre assemblee, dove lo Spirito Santo soffia abbondantemente nei cuori dei partecipanti. Si torna a casa così saltellanti, benevoli gli uni verso gli altri, con una serenità che invade tutto il corpo; non sono eccezionali le sensazioni che attorno a noi vibri una dolce melodia che colora ogni cosa e ci fa gustare un nuovo senso della vita. Beati noi, potremmo dire, che assaporiamo tali delizie dello Spirito! Ma quali sono i frutti dello Spirito sul corpo e sulla nostra psiche? Ce lo spiega Pina Tufo, psichiatra, psicoterapeuta e membro del direttivo nazionale dell’Associazione Terapisti Cattolici (ATC).
Per rispondere alla domanda precedente, oltre a portare esperienze di vita e raccontarcele, possiamo anche chiedere alla comunità scientifica che ci dica cosa avviene realmente nelle persone che sono dedite alla preghiera, che condividono un credo religioso, che frequentano gruppi ecclesiali e che in famiglia trasmettono e praticano la fede.
In realtà da diversi anni la spiritualità e la pratica del credo religioso sono all’attenzione della comunità scientifica e si trovano, ormai, numerosi studi che attestano come la fede e la pratica corrispondente influenzino positivamente la salute su vari aspetti della vita fisica e psichica. Inoltre, fede e preghiera incidono in maniera significativa sulla modalità di reagire a eventi stressanti, come la malattia, il lutto e ogni sorta di difficoltà quotidiane, fornendo alla persona una maggiore capacità di resilienza, che favorisce un fronteggiamento positivo e un riadattamento della persona ai vari eventi traumatici.
Gli studi confermano l’importanza della preghiera
Ad esempio, nello studio di Pearce (M.J. Little TD, et al. 2003). Religiousness and depressive symptoms among adolescents. Journal of clinical child & adolescent psychology (32(2):267-276) e nello studio di Good M. (Willoughby T., 2006) The role of spirituality versus religiosity in adolescent psychosocial adjustment. Journal of youth and adolescence (35(1):39-53), in cui sono stati investigati 6578 adolescenti, la frequentazione religiosa, soprattutto mediante un gruppo ecclesiale, ha messo in evidenza nei campioni indagati indici di migliore adattamento in seguito a eventi stressanti rispetto a persone senza alcuna pratica religiosa.
Altrettanto interessante è uno studio del 2003, che ha previsto interviste telefoniche a circa 8mila adolescenti, nel quale è stato riscontrato che le famiglie che più frequentemente mettono in atto una pratica religiosa (come andare in chiesa, leggere la Scrittura, pregare in famiglia), o in cui i genitori pregano quotidianamente, sono mediamente diverse dalle altre famiglie; in particolare, si riscontra che il coniuge esprime di più affetto all’altra/o, la/lo offende di meno e cerca di più il compromesso. In un altro studio si è visto che la partecipazione religiosa favorisce la salute genitoriale: atteggiamenti genitoriali positivi, nonché salute del bambino e maggior successo scolastico (Wen M. (2014), Parental participation in religious services and parent and child well-being: findings from the National survey of America’s families, J. Relig Health, 53(5):1539-61).
Anche per quanto riguarda la prevenzione di comportamenti devianti come l’uso di droghe e alcol, è stato evidenziato in diversi studi che l’attribuzione di una maggiore importanza alla religione e alla pratica religiosa è associata con minor prevalenza di depressione, ideazione suicidaria, uso di alcolici e marijuana (Rasic D, Kisely S, Langille DB (2011), Protective associations of importance of religion and frequency of service attendance with depression risk, suicidal behaviors and substance use in adolescents in Nova Scotia, Canada, J. Affect Disord).
Conseguenze psichiche dell’allontanamento dalla fede
Potrei ancora a lungo continuare la revue di studi che dimostrano come la preghiera e la pratica religiosa con aderenza a un credo religioso sia fonte di maggior salute soprattutto psichica e, negli adolescenti, anche di una maggiore prevalenza di stili di vita sana; ma tale sintesi è sufficiente a confermare quanto nelle nostre assemblee è ampiamente oggetto di testimonianza, quante storie raccontate e vivificate dalla grazia dello Spirito!
Viceversa è anche interessante ciò che è emerso da altri studi che hanno evidenziato come problemi inerenti alla fede, ad esempio l’allontanamento dalla fede o difficoltà relazionali nell’ambito della comunità o del gruppo ecclesiale, possano incidere negativamente sulla psiche fino a determinare veri e propri disturbi emotivi o la messa in atto di comportamenti di evitamento e/o allontanamento. Ad esempio eventi stressanti di vario genere possono determinare cognizioni disfunzionali come “mi sento arrabbiato con Dio, abbandonato, tradito, ‘fregato’”, oppure ”non posso perdonarmi, accettarmi, darmi pace“, che soggiacciono a sensi di colpa; o ancora sentimenti di rabbia: “Mi sento tradito da, in disaccordo con un leader religioso”. Queste ruminazioni mentali sono altamente correlate a stress, depressione, ansia e somatizzazioni (Exline JJ. (2013). Religious and spiritual struggles. In Pargament K, Exline J., Jones J. APA handbook of psychology, religion and spirituality (Vol. I). Washington, DC: American psychological association).
Amore, felicità e salvezza
Ora se la comunità scientifica ha prestato attenzione a tali aspetti della vita spirituale, ancor più le nostre comunità potranno far tesoro di tali riflessioni per progredire in un cammino ecclesiale sempre più maturo e capace di incidere significativamente sul benessere della persona. La preghiera, potremmo dire, rappresenta il meccanismo eziopatogenetico di tale benessere. La fede e la Parola evangelica ci dicono che la preghiera è unione con Dio, Amore eterno e misericordioso dalle braccia spalancate pronto ad accogliere chi a lui si rivolge e a sostenerlo con amorevole tenerezza. L’uomo amato ritrova in sé la forza e lo slancio per affrontare e gustare la vita. La sofferenza è filtrata dalla consolazione e spinge a ripetere le gesta di Gesù che offre la sua vita al Padre per un bene eterno che non ha prezzo: la salvezza, l’essere redenti da qualsiasi colpa e immessi in un cammino di speranza e carità vicendevole. Quando Gesù nell’ora della sua agonia prega il Padre (cf Gv 17, 20) chiede l’unità e l’uguaglianza, perché tutti godano dell’unione e dell’Amore trinitario, come il rapporto amorevole di una madre verso ogni suo figlio, pur nella loro diversità.
Ecco, allora, che l’uomo trova nell’essere amato e nell’unità una gratificazione e una speranza che lo spinge a sua volta ad amare. Il piacere dell’amore è ciò che ogni uomo cerca! La preghiera è il luogo dell’amore, del perdono, della speranza; è, altresì, il luogo dove si incontra il Maestro, il rabbunì, che indica la strada maestra e, anche quando essa è accidentata, un moto interiore di speranza sussurra all’uomo “ce la puoi fare, non sei solo!”.
Boxino “Esportiamo” la preghiera
Sarebbe davvero a auspicabile che la pratica della preghiera, nello stile precipuo del RnS, venisse sempre più “esportata” dai gruppi verso i luoghi di sofferenza, come carceri e ospedali, o verso i luoghi di aggregazione giovanile, come le università, impegnandosi a sfondare il muro di indifferenza, se non di ostilità che talvolta caratterizza questi luoghi e le relative amministrazioni. Coraggio, lo Spirito Santo ci preparerà la strada!